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Counseling Day 2023


 
In attesa di conoscere la riforma tributaria annunciata dal presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e dal ministro dell´economia, Giulio Tremonti, quella che dovrebbe spostare il carico dei tributi dalle persone alle cose, dall´Irpef all´Iva, è quanto mai opportuno compiere una piccola esplorazione dell´altra faccia della luna fiscale. La faccia nota è quella dell´Irpef, dove la metà dei contribuenti non supera i 15 mila euro lordi l´anno. Così, almeno, dicono le rilevazione compiute dall´Agenzia delle entrate sui redditi 2008 dichiarati nel 2009, e resi pubblici nei giorni scorsi. Dunque un´Italia povera, che tuttavia non esita a contraddire i dati del fisco.

Un esempio? Proprio nei giorni in cui l´Agenzia delle entrate rendeva pubblici i dati sull´Italia povera, gli italiani si mostravano ricchi, e contenti di esserlo, fino a fare 20 km di coda in autostrada per uscire al casello più vicino agli outlet dove si vendono a saldo i capi d´abbigliamento griffati. Per non parlare delle code di trecento metri fuori dei negozi vip del centro di Milano e di Roma, anche dove di sconti non c´era neppure l´ombra. Nulla di nuovo, per carità: oltre ai redditi dichiarati al fisco, gli italiani dispongono di quelli legati al «nero», all´economia sommersa, che equivale almeno al 20 per cento del pil nazionale, con quel che segue in termini di evasione. Ma questa, come dicevamo, è la faccia nota della luna fiscale, quella delle persone fisiche e dell'Irpef.

Assai meno nota è l´altra faccia, quella dell´Iva. Eppure è una realtà di grande rilievo per la società e l´economia nazionale, tanto è vero che il premier Berlusconi la paragona spesso al nostro petrolio. Si tratta degli oltre 4 milioni di imprenditori piccoli e grandi, di professionisti e di lavoratori autonomi: tutta gente che rischia in proprio e rappresenta la vera spina dorsale dell´economia nazionale. Un ceto, questo, giustamente mitizzato per l´apporto che dà alla produzione del pil e all´occupazione, un ceto che il centro-destra considera come il proprio elettorato di riferimento. E questa è una ragione in più per capire come e quanto questo ceto sarà interessato dalla riforma tributaria.

A giudicare dai dati ufficiali, anche il ceto delle partite Iva abbonda più di poveri che di ricchi. Su 4 milioni, sono ben 3 milioni quelle che hanno un fatturato inferiore a 180 mila euro l´anno. Imprese molto piccole, dunque. Ma nell´ipotesi di 2,5 addetti per ciascuna di questi 3 milioni di imprese, si arriva a 7,5 milioni di occupati. Aggiungiamoci il titolare, e si arriva a 10,5 milioni. Ebbene, questo significa che le micro imprese con meno di 180 mila euro di fatturato danno lavoro a più della metà degli occupati in Italia. Il conto è presto fatto: su 24 milioni di occupati, tolti i circa 4 milioni del pubblico impiego, ne restano 20 milioni, di cui 10,5 lavorano a fianco di tanti signor Brambilla.

Dite che anche questi contribuenti evadono le tasse? Verissimo, altrimenti non riuscirebbero a sopravvivere. Anzi, è più che certo, come dimostrano i 100 miliardi di euro rimpatriati con lo scudo, per lo più con importi unitari tra i 100 e i 300 mila euro, vale a dire risparmi. Ma è altrettanto vero che questi 3 milioni di partite Iva hanno avuto ben poco finora dal governo per fare fronte a una crisi epocale. Aiuti generosi sono stati assicurati alle banche, all´auto, all´industria del bianco, dei mobili, perfino all´edilizia. Ma altrettanto non si può dire per l´artigianato, le piccole imprese industriali e di servizi che chiedevano poco, ma lo volevano subito.

Per esempio, l´abolizione dell´Irap sulle imprese più piccole, quelle che hanno un fatturato di 9.500 euro l´anno, e chiedevano di elevare la franchigia da 9.500 a 30 mila euro l´anno di fatturato. Lo sgravio avrebbe dato un sollievo fiscale a 2 milioni di partite Iva e sarebbe costato 1,5 miliardi sui 40 di gettito Irap. Il governo ha risposto picche.

E´ stata fatta, in subordine, una richiesta più bassa: elevare la franchigia di esenzione non più a 30 mila, ma a 15 mila euro, così che del taglio Irap potessero beneficiare 700-800 mila contribuenti, con un costo per il bilancio dello Stato di appena 650 milioni di euro. Tremonti ha risposto di nuovo picche. E quando, in novembre, il sottosegretario Gianni Letta si è permesso di leggere all´assemblea annuale degli artigiani della Cna che era allo studio la riduzione graduale dell´Irap, per poco Tremonti non provocò la crisi di governo, sentendosi scavalcato.

L´azione di Tremonti per tenere sotto controllo i conti dello Stato, per quanto efficace, ha conosciuto qualche contraddizione. Per esempio, si fatica a capire come mai in Finanziaria si siano trovati nuovi fondi per il terremoto del Belice del 1968 (42 anni fa!), per il museo tattile e per le associazioni combattentistiche (costituite 64 anni fa!) e neppure un euro di sgravio Irap per le partite Iva più piccole.

Avendo già sperimentato la filosofia tributaria di Visco, le partite Iva non hanno alcun rimpianto della sinistra. Ma questo è un «sentiment» di cui Tremonti farebbe bene a non abusare quando metterà nero su bianco la sua riforma per spostare il prelievo dalle persone alle cose, dall´Irpef all´Iva. Il popolo delle partite Iva, almeno quello che si è salvato dalla crisi e non ha già chiuso bottega, è vicino al punto di rottura. Un errore anche minimo potrebbe trasformare la riforma tributaria in un boomerang politico. E questa è l´ultima cosa di cui il governo sembra avere bisogno.

titolo: Partite IVA: la pazienza è finita
autore/curatore: Franco Talenti
fonte: Italia Oggi
data di pubblicazione: 07/01/2010

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